Quando leggeva le allarmistiche notizie sul numero di giovani italiani in cerca di lavoro, Carlo non riusciva a trattenere un moto di stizza. Lo sviluppo della sua impresa, leader in alcune nicchie del settore elettromedicale era, infatti, da tempo limitato dalla difficoltà di reperire le risorse umane di cui aveva bisogno: ingegneri specializzati nell’elettronica e nell’informatica.
Carlo – lo chiamo per nome perché ormai è un amico e non solo un cliente – non si dava pace. “Eppure offriamo retribuzioni più che in linea con i concorrenti, ampie possibilità di carriera, auto aziendali anche a chi non ne ha bisogno per lavorare”, sospira. “Per svolgere tutto il nostro potenziale dovremmo assumere 5 laureati al mese. Va bene se riusciamo a firmare 20 contratti all’anno!”.
- Il recruiting? è anche una questione di immagine
- Il target è definito e i canali di comunicazione sono chiari
- Con quali contenuti presentarsi ai potenziali neoassunti
- L’aneddoto dei tre scalpellini
- Il fine ultimo? Salvare vite umane
- Una azienda attenta alle esigenze emergenti
- L’impegno nella R&D
- Giornate ‘porte aperte’ per gli studenti
- Arrivano i CV
Il recruiting? è anche una questione di immagine
A differenza di quel che accade in altri settori, in alcuni comparti dell’economia, paradossalmente, è l’azienda che deve risultare attraente agli occhi dei potenziali neoassunti.
“Carlo ma ti sei mai chiesto”, provai a proporgli, “se questo problema non sia affrontabile anche in termini di brand e comunicazione?”. “Cosa c’entra la comunicazione?”, mi rispose sorpreso, “stiamo parlando di neoassunti non di clienti!”. “A ben vedere non c’è poi molta differenza tra un cliente e un candidato: invece di convincere un cliente a preferire il tuo prodotto, devi portare un neolaureato a prendere in considerazione la tua azienda fra le tante alternative di impiego. È anche una questione di immagine e di brand!”.
Il target è definito e i canali di comunicazione sono chiari
Il cliente, che in effetti da tempo si chiedeva come mai i neolaureati non inviassero all’azienda i loro CV e spesso non rispondessero nemmeno alle offerte loro inviate, si lasciò convincere e ci chiese un progetto di comunicazione mirato a migliorare la visibilità dell’azienda.
Il target era estremamente ben definito: gli studenti (e non solo i neolaureati) iscritti a determinati corsi di laurea. I social media sono di grandissimo aiuto in questi casi, e un supporto può venire dai network dei giovani già assunti che si prestarono a collaborare. C’era poi la possibilità di intervenire negli eventi della vita universitaria delle non molte università che prevedevano quei corsi di laurea e di fare advertising e cartellonistica nelle sedi universitarie stesse.
Con quali contenuti presentarsi ai potenziali neoassunti
Ma occorrevano dei contenuti specifici da trasmettere attraverso questi canali. Convincere il cliente non fu facile. Fino a qualche decennio fa i giovani erano attirati dalla retribuzione iniziale, dalle possibilità di carriera e dalla ‘sicurezza’ del posto di lavoro. Oggi le cose sono diverse. La retribuzione resta importante, è ovvio, ma subito dopo vengono il contenuto del lavoro e l’immagine dell’azienda. “I giovani che possono scegliere, vogliono far parte di una squadra che si dà degli obiettivi che vanno al di là del profitto”, spiegammo mostrando ricerche svolte a livello nazionale e internazionale in settori come l’IT e le tecnologie di punta, “una grande attenzione all’impatto ecologico, e più in generale alla responsabilità sociale dell’impresa, è divenuto un requisito per molti, così come uno stile di lavoro improntato alla flessibilità”.
L’aneddoto dei tre scalpellini
Carlo venne convinto dall’aneddoto dei tre scalpellini. Siamo in una grande città italiana nel Duecento e intorno a un grande cantiere si affaticano tre persone. Un passante chiede loro cosa stiano facendo: “Per guadagnarmi il pane sono costretto a picchiare questi sassi da mattina a sera”, risponde il primo con stizza. “Sto cercando di dare a queste pietre la forma che il capomastro mi ha richiesto”, dice il secondo nervoso e affaticato. Il passante si rivolge allora al terzo che alza gli occhi e risponde sereno: “Sto costruendo una cattedrale!”.
“Ecco, la tua azienda deve presentare l’offerta di lavoro come una ‘missione’, sottolineando i risultati ultimi del lavoro svolto: non vendere 100 o 1000 apparecchi in più del concorrente, quanto salvare delle vite umane, prevenire o gestire al meglio delle malattie, etc.”, spiegammo a Carlo.
Il fine ultimo? Salvare vite umane
L’azienda di Carlo produceva sì classici elettrocardiografi ma anche apparecchi utilizzati da ospedali e Centri di cura per diagnosticare e gestire al meglio malattie molto serie. Una gamma di prodotti aveva le caratteristiche per essere utilizzate in contesti deprivati come le aree interne dell’Africa o dell’India.
Nella sua comunicazione ai futuri laureati l’azienda sottolineò questi aspetti della sua attività, così come le donazioni a una grande ONG internazionale specializzata nell’assistenza sanitaria nelle aree di frontiera.
Una azienda attenta alle esigenze emergenti
Ogni aspetto della CSR aziendale venne sottolineato e qualcuno appositamente modificato (auto aziendali elettriche invece che diesel, un bus-navetta a idrogeno per collegare la sede dell’azienda alla stazione, opzioni vegane e prodotti a Km 0 in mensa).
Suggerimmo alle HR aziendali di prevedere benefit quali il rimborso di terapie alternative o permessi più ampi di quanto previsto dal CCNL per neomadri e neopadri (estesi anche alle coppie gay). Insomma, riuscimmo a presentare l’azienda come una impresa moderna e al passo con i tempi anche nello stile di conduzione aziendale.
L’impegno nella R&D
Un terzo fronte fu quello della ricerca. Anche se solo una parte dei neoassunti sarebbe davvero stata impiegata in questo settore, la parte R&D dell’attività aziendale venne ben condivisa. Vennero offerte e ben pubblicizzate borse di studio agli iscritti alle lauree magistrali e borse di ricerca per alcuni tesisti. L’azienda si presentò quindi agli occhi dei potenziali neoassunti come un protagonista nella ricerca applicata.
Giornate ‘porte aperte’ per gli studenti
Iniziammo a pianificare anche un evento periodico dedicato agli iscritti all’ultimo anno di laurea: una ‘giornata porte aperte’ nella quale dopo una presentazione in aula, i partecipanti (prevedemmo il rimborso del viaggio a chi veniva da più lontano) a piccoli gruppi, guidati non da un funzionario HR ma da un loro peer’ cioè un giovane neoassunto, visitavano gli uffici e lo stabilimento per poi terminare la giornata in un locale della simpatica cittadina dove avrebbero potuto abitare qualora fossero ‘entrati nella squadra’.
Arrivano i CV
I risultati si videro nell’arco di pochi mesi e poi in maniera sempre più marcata: l’azienda iniziò a ricevere molti più curriculum non sollecitati così come riscontri alle sue offerte di lavoro. In questo modo riuscì a liberare tutto il suo potenziale e a sviluppare la sua… cattedrale.